Uccellini e uccellacci considerazione di un cacciatore a Vita

di Antonio Buono. Bello venire in vacanza a Ischia con la scusa dei bracconieri, ma se da oltre vent’anni su quest’isola non passano più uccelli migratori, l’unica ragione della presenza di decine e decine di pseudo-ambientalisti in giro per boschi, colline e praterie, (parafrasando Lucio Battisti), non può essere che quella delle belle passeggiate ecologiche mangiando e dormendo alla faccia del contribuente.

Nel dubbio, se proprio si volesse approfondire l’argomento, si potrebbe “interpellare” direttamente un uccello che in merito alla Migrazione… la sa davvero lunga: “L’AVERLA”.

Già, e c‘è poco da scherzare, le ragioni ci sono e non sono per nulla approssimative in quanto il fenomeno investe tutta l’Europa occidentale. Difatti, gli scienziati di biologia animale hanno studiato a lungo alcune specie fra le quali: l’upupa, il rigogolo, l’allodola, il fringuello, il frosone ed in particolare “l’Averla”. Predatore insettivoro, il piccolo lanide si installa e può vivere solo dove alcune condizioni fondamentali si verificano, infatti necessita di un habitat cespugliato con alberi sparsi dove i grandi insetti possano sostare e nutrirsi, di un cespuglio spinoso (rovo, biancospino ecc..) nel quale cela il nido a poca altezza, protetto dai predatori di terra e, si potrebbe aggiungere, di una campagna che.. non esiste più.

Come i Falchi, l’Averla non ha più un posto dove nidificare e questo è già un fattore molto importante nonché responsabile della stessa flessione. E come i Falchi, l’Averla occupa un territorio di caccia abbastanza esteso scacciando le eventuali intrusioni, è quindi ovvio che se l’area si restringe, il numero delle presenze non può che diminuire.

E’ bene evidenziare che l’Averla è un rapace in miniatura, specializzato nel catturare grossi insetti forniti di carapace che agevolmente scortica e squarta con il becco. Venendo a mancare la base alimentare primaria, essa dovrebbe riconvertirsi, per cui andrebbe a spendere più energie per procurarsi la stessa quantità di cibo, con conseguente stress che la condurrebbe a perdere il nido per scarso approvvigionamento. Fuori dai confini, come uccello africano, soffre le stesse disgrazie di specie tropicali a cui eravamo abituati e che si vedono sempre meno. Difatti il grande altopiano sudafricano, dove la specie migra e risiede in inverno, si è trasformato per i successivi interventi monoculturali che caratterizzano l’economia agricola del subcontinente. Ad un territorio semivergine di boscaglie, vanno sempre più sostituendosi aree coltivate con relative macchine dove non c’è più nulla che possa attrarre l’Averla. Inoltre, molte zone adatte che consentivano la non istantanea risalita primaverile (lungo la penisola Arabica e la Siria) si sono per cause diverse desertificate e non offrono più un territorio agevole alla specie. La progressiva restrizione di tutta l’area di nidificazione Europea conferma l’ipotesi che la specie soffra di un impatto ecologico negativo dovuto a cause complesse e varie, ma che sono principalmente determinate dalla grande metamorfosi ambientale di questi ultimi decenni.

Quindi, è chiaro che volendo semplificare il tutto in termini pratici e che ci riguardano molto da vicino, se il dare la caccia ai cacciatori, resta l’obiettivo primario di tanti “dottori ambientalisti” che di ambiente dimostrano di capirne ben poco, giusto per avere un tantino le idee più chiare, sarebbe il caso che si rivolgessero alle “consapevolezze dell’Averla”, in modo tale da “sparare” su di un bersaglio palesemente responsabile di tutti disastri ambientali ed a cui si deve la maggior parte della diminuzione delle specie animali. Un bersaglio che si identifica sempre più nella mano scellerata dell’uomo, o meglio, di uomini senza scrupoli, gli stessi che pongono le loro attenzioni esclusivamente ai loro interessi ed alla devozione verso il… “DIO DENARO”.di antonio buonoLufRFXeWfotoantoniobuonoLufRFXeWfotoantoniobuono LufRFXeWfotoantoniobuonobuono

*Cacciatore a vita