Un Giacomo leopardi in chiave napoletana . Ciro Ridolfini lo interpetra con il canto” A Se stesso”

 

 

 

 

 

Nel canto a “ Se stesso di G. Leopardi possiamo dire che viene racchiuso i per intero il pessimismo di leopardiana memoria. Il poeta colloquia con il suo cuore dopo le continue e dolorose disillusioni;” Non esiste nessuna cosa che meriti i tuoi turbamenti . Nessuna cosa terrena è degna dei tuoi sogni”.  Canto “ a Se stesso non è chiaramente un inno alla Vita ma maledizione per essa. L’” Io” lirico del Leopardi viene invitato  a non illudersi più. E che nessuna cosa o qualcuno sulla Terra è degna di essere amato . Possiamo constatare che l’inno sia un opera senza sentimento. Oggi nel xxI secolo sorprendentemente la sua assenza è ricolmata con lo straordinario e appasionato lavoro  interpetrativo di Ciro Ridolfini. L’artista, poeta, letterato, con la sua inusuale mimica, plasmata da un suo di ”Io” lirico in veste napoletana, senza alterare i fondamentali contenuti fortemente poetici del Leopardi, riesce a  mimitizzare la disperazione leopardiana. E’ la napolitanità  del Ridolfini che persino nella totale disperazione che rimanda il cuore all’abbandono di ogni illusione…. con la musicalità del popolo trionfante partenope, attenua la disperazione leopardesca. Difficile e azzardato interpetrare un tema come quello dell’illusione dell’Esistenza umana  di Leopardi con una così efficacia ritmicità canora.  E mimica. Ciro Ridolfini  è riuscito alla grande con la leggerezza di chi pur  tentando di incarnare un infinito dolore emana vibrazioni perla Vita persino “nell’ultimo sgomento”. Una sfida letteraria e poetica rimane il canto “ A Se Stesso” in chiave napoletana di Ridolfini:”E’ essenziale comprendere che il Leopardi pose che non vi sono certezze se non il dubbio… e che la cosa più bella dell’uomo, cioè l’Amore, gioisce e perisce nell’inganno stesso dell’uomo. E la donna che dolcemente naufragano nel mare infinito dell’immensità”. Di lucia manna

ciroridolfini