Anamnesi storica di Raffaele de Crescenzo esponente di spicco del movimento “Forio é Tua”

Il partito degli astenuti ha vinto. Non ha eletto nessuno, eppure ha deciso tutto.
È un paradosso che pesa come una pietra: la maggioranza non vota più, non crede più, non spera più. E non è un gesto di pigrizia: è un urlo silenzioso. Un urlo che dice che la politica non riesce più a guardare la gente negli occhi, né a parlare la sua lingua, né tantomeno a farsi interprete delle sue paure, delle sue fatiche, dei suoi bisogni.

In Campania ha votato meno della metà degli aventi diritto.
È come osservare una casa che conosci da sempre e scoprirla improvvisamente vuota, con le finestre spalancate e il vento che entra. Quel vento è la disaffezione, la sfiducia, la sensazione che la democrazia stia marcendo perché nessuno la cura davvero.

Gli eletti per qualche ora fingeranno tristezza per la scarsa affluenza. Poi, come sempre, volteranno pagina, contando le preferenze e i futuri incarichi.
E nel frattempo la comunità si sgretola. Manca la voce, manca il filo che tiene insieme le persone. Le campagne elettorali si riducono a slogan stanchi, promesse impossibili, bonus immaginari e polemiche da bar. Nessun programma vero. Nessun progetto. Nessun coraggio.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un popolo che non si riconosce più in chi dovrebbe rappresentarlo. Una politica che non ascolta e non vede.
E quando la politica smette di essere interprete dei problemi reali, la democrazia entra in coma. Non per colpa di chi non vota, ma di chi ha smesso di meritarsi quel voto.

La verità è semplice e terribile: la gente non va più alle urne perché non sente più nessuno parlare davvero di lei.
Vede solo chiacchiere, risse mediatiche, promesse stantie, recite stanche.

E allora l’astensione diventa un gesto radicale, forse incosciente, ma tremendamente umano: «Non credo più a questo sistema. E non voglio essere complice».

È qui che la politica dovrebbe tornare a interrogarsi, a sporcarsi le mani, a farsi comunità, a farsi responsabilità.
Perché la democrazia, come ogni cosa viva, muore se non viene nutrita.
E la cura, oggi, si chiama ascolto. Si chiama verità.

di Raffaele de Crescenzo